La favola di Salvina

Buongiorno Salvina, come ti presenteresti e come nasce la tua passione per l’ingegneria chimica?

Mi chiamo Salvina Stagnitta e sono un ingegnere chimico. La coppia Salvina-Ingegneria non è stata una storia da colpo di fulmine. Mi sono iscritta in ingegneria per caso, perché ero alla ricerca di una laurea di natura tecnico scientifica che mi permettesse maggiore spazio rispetto ad una laurea più specifica tipo Chimica o Fisica ed anche maggiori opportunità di lavoro in tempi brevi. Sebbene non tipica per una ragazza, la mia famiglia, lontanissima dal modo dell’ingegneria, mi ha supportato e sopportato. Non senza sacrifici, sono arrivata alla conclusione del ciclo di studi nei cinque anni canonici. Ma durante il corso di studi, come succede a tante coppie che lo capiscono nel tempo, ho imparato a conoscere la materia e mi sono innamorata. Di quell’amore che ti lega per sempre, fatto di complicità e profondo rispetto. Perché gli studi di Ingegneria mi hanno permesso di appagare un comportamento che mi caratterizza da sempre: sono curiosa.

Cosa ti ha spinto a scrivere questa favola?

Fra le mie curiosità più grandi, quella di vedere che cosa succede dentro un reattore di polimerizzazione. Già nello svolgimento della tesi di laurea mi sono incontrata con un reattore che era un tubo di ferro, bruttino, molto pesante e con gli strumenti che venivano fuori da quel corpo sgraziato come braccine sottili sottili con grandi mani nei quali potevo leggere pressioni e temperature. Che fatica farlo stare in piedi, in verticale sotto la cappa del laboratorio durante le fasi di sperimentazione. Raggiungeva pressioni molto elevate e questo richiedeva una operatività a prova di rischio.  Dopo l’università, per anni ho lavorato nel processo e nell’impiantistica della produzione di materie plastiche e mi sono incontrata con altri reattori di tutte le forme e misure: tubolari, a pera, a pentola. Mi è capitato di vederli aperti, pieni di prodotto solido dopo disastrosi “chunk”, li ho visti smontati a pezzi ma mai ho potuto vedere che cosa succede lì dentro nelle condizioni di marcia regolare.

Non potendo fisicamente vedere la formazione delle lunghe catene polimeriche di cui è costituita la materia plastica, me la sono immaginata. Ed è nata la favola.

E’ stato piacevole scriverla, mano a mano che la mia immaginazione andava avanti, il racconto prendeva forma. E’ figlia di pura fantasia applicata all’impiantistica e alla chimica vera.

Forse non saprò mai cosa succede veramente dentro ad un reattore di polimerizzazione ma questa rappresentazione aderisce alla necessità di anticipare e risolvere alcuni dei tanti problemi di una reazione chimica complessa.

Spero di regalare qualche minuto di lettura in totale relax.   

La favola è stata pubblicata nella rivista scientifica SAPERE, di seguito l’estratto: